Ultime notizie
Home | Editoriali | Pensioni di Guerra

Pensioni di Guerra

4254 visualizzazioni

Pensioni di Guerra

Voglio iniziare con una constatazione che potrebbe indurre molti a chiudere questa pagina alla seconda riga: se così sarà, pazienza. Sono uno qualunque: non sono un economista, uno statistico, un esperto di calcoli di sostenibilità economica, etc.

Dico quello che penso per due ragioni (oltre a quella, oggi sempre meno ovvia, della libertà di espressione): da circa 40 anni lotto 12 ore al giorno per sopravvivere economicamente in un mondo che diventa sempre più difficile: prima come piccolo imprenditore e poi come manager nel settore dell’industria manifatturiera. Sono anche un cittadino che ricerca  un’esistenza decorosa per sé e la propria famiglia, un contribuente di lungo corso, un cittadino elettore, un consumatore pagante, etc.etc. Tutte cose che – se non ricordo male le lezioni di educazione civica che ai miei tempi si facevano seriamente – fanno di me, come di tutti gli altri, l’ultima (o la prima) istanza nel potere di indirizzo politico della nazione.

Mestieri entrambi difficili,  che però mi fanno pensare che un qualche titolo per dire la mia l’ho acquisito sul campo: in fondo quelli come me (dovremmo essere in parecchi) sono l’ultimo o il penultimo anello della catena alimentare che in questi decenni si è sentita raccontare che in giro per il mondo ci sono masse infinite di denaro destinate ad “attivare operazioni anticicliche”, ma che all’atto pratico ne hanno viste davvero poche giungere all’economia reale nella quale sguazziamo h24.

Ciò premesso veniamo a noi: e arrivò la pandemia! Trascuro il perché e il percome, constato che la maggior parte di chi sa mi dice che stiamo andando incontro ad una delle più gravi crisi economiche della storia moderna. Nel momento in cui lo dicono tutti la cosa diventa vera, anche se potrebbe non esserlo: è così, facciamocene una ragione. Come ne usciamo ?

Ammetto di essere stato positivamente colpito dall’intervento di Mario Draghi sul Financial Times. Una cosa che mai avrei pensato di dire, essendo (e rimanendo tuttora) entrambi (il Mario e il FT) davvero molto distanti dalle frequenze sulle quali vibrano i miei pensieri politici ed economici. Ma una cosa intelligente lo è e lo resta anche se la dice un avversario, anzi! Direi che mi fa quasi più piacere se la vedo detta da chi su tutto il resto non la pensa come me.

Cosa ci dice il SuperMario ? ci dice che dobbiamo pensare a quello che verrà non come a un post-crisi economica ma ad un dopoguerra. E ci fa anche notare la differenza: nelle crisi economiche si riattiva un ciclo più o meno con le stesse regole, si rimette in moto un meccanismo simile con forze nuove; in un dopoguerra si ragiona diversamente, non si fa pagare al popolo e, in fondo, neppure agli stati (Germania docet) i danni e le spese di guerra. Per quello si cancellano i debiti, si mutualizzano i danni a babbo morto  e si fa ripartire il ciclo economico riattivando le possibilità e il desiderio di vita della gente normale. Fin qui Mario Draghi.

Ciascuno legge le cose cercandovi quello che lui crede giusto e io posso aver interpretato male il testo in oggetto, ma mi sembra detto quasi a chiare lettere. Se non è così lascio ai posteri le proprie incombenze.

Orbene, si pone il problema del come. Tutte le iniezioni di liquidità fatte a livello istituzionale sia finanziario che politico sono state finora bruciate in un gigantesco e perverso gioco di debiti e crediti il cui unico effetto visibile è la devastazione che ci circonda. Per contro non si può negare che il cosiddetto Helicopter Money, per riprendere la provocatoria espressione di Milton Friedman, presenta la controindicazione di un certo azzardo morale nel togliere ulteriore valore intrinseco alla sfera monetaria, di un certo azzardo etico perché scoraggia il lavoro e l’impresa e anche di un rischio iperinflattivo, anche se non mi sembra questo il problema del momento. Allora c’è un modo di salvare un po’ di capre (non tutte) e un po’ di cavoli (non tutti) ?

Secondo me sì e l’Italia lo ha scoperto prima di molti altri e ne ha anche approntato, non da ora,  lo strumento idoneo. Lo strumento si chiama oggi INPS ed è nato e cresciuto per ammortizzare gli effetti delle più grandi crisi del nostro paese, come ammette l’istituto stesso dichiarando le tre date che ne hanno segnato la vita: 1898, 1919, 1933-43. Guarda caso tutti periodi post-bellici o similari.

La soluzione per mettere soldi nelle tasche dell’unica istituzione di welfare che ha dimostrato la resilienza necessaria durante guerre, epidemie e carestie, cioè la famiglia italiana media,  potrebbe essere quella di impegnare parte della liquidità (non tutta, so che esiste anche il problema del sostegno al mondo produttivo) che in ogni caso dovrà essere esposta, in un gigantesco piano di pre-pensionamento nazionale. L’idea è quella di portare a reddito da pensione, per scaglioni successivi ma rapidamente, gli over 60.

Onestamente, come dicevo all’inizio, non conosco i numeri a sufficienza e per questo non mi addentro nei dettagli, lasciando a chi se ne intende la possibilità di dichiarare tutto ciò non fattibile: riterrei utile, però, vagliare la cosa con realismo e apertura mentale.

E’ naturale che ci troveremmo a dover sopperire a buchi o carenze nella storie contributive ma anche qui si potrebbero trovare soluzioni di compromesso: un livello minimo di contributi versati, un compartecipazione maggiore dell’attuale fra Stato e lavoratore nella ricongiunzione dei periodi mancanti, una partecipazione figurativa alla contribuzione come forma di aiuto sociale, una volontarietà per alcune categorie critiche come quelle mediche, etc.

La cosa sembra presentare qualche vantaggio:

-        Non si crea azzardo morale, si anticipa un trattamento previsto da tutti i sistemi economici, al massimo si condona un po’ di scaduto, ma con il fuoco alla porta non mi sembra che si sia mai andati per il sottile. Se si dice too big to fail per banche e istituti finanziari trovo moralmente meno azzardato dire  too important to fail per le famiglie e lavoratori

-        Non crea azzardo etico, disaffezione al lavoro e all’impegno, come il reddito di cittadinanza a pioggia, perché agisce su gente che ha già lavorato quasi tutta la vita. Al contrario, in vista di un’auspicabile ripresa, libera posti di lavoro per le forze più giovani in grado di apportare energie, di fondare famiglie, di procreare future generazioni.

-        E’ immediato nei suoi effetti: l’INPS nasce esattamente come un conto su cui versare le contribuzioni per un accesso immediato, saltando il sistema creditizio.

-        E’ di immediato ritorno: il reddito da pensione o viene speso per la sussistenza nel mese successivo o viene veicolato all’interno del welfare familiare per l’aiuto ai membri giovani della famiglia e comunque speso.

-        E’ sinergico con il necessario aiuto alle imprese perché fa ripartire almeno una parte basica dei consumi.

-        Aiuta la gestione dell’emergenza in questa crisi epidemica o in possibili successivi ritorni di fiamma: si pongono al di fuori del ciclo lavorativo a rischio le fasce via via più esposte agli effetti peggiori del contagio.

-        Può aiutare la società civile: siccome a 60-65 anni oggi non si è proprio tutti decrepiti si potrebbe barattare l’anticipo di pensione con prestazioni volontarie di solidarietà, magari mettendo a frutto decenni di competenza professionale. Si riattiverebbe così un ciclo virtuoso di solidarietà di prossimità che è prezioso come hanno dimostrato le tante associazioni di “ex” (alpini, carabinieri, etc) che sono giovani di spirito ma non necessariamente di anagrafe.

-        Può aiutare lo Stato: la disponibilità di tempo delle generazioni più adulte alleggerirebbe non poco la pressione su scuole, asili, strutture di supporto al disagio,  etc.

-        Non sarebbe un’operazione completamente a debito perché interverrebbe su storie di versamenti contributivi già in essere, in parecchi casi già piuttosto capienti, solo in forma integrativa e non totalmente assistenziale.

In questi frangenti proporrei di eliminare la parola debito dal lessico del bilancio pubblico, ma anche volendola mantenere sono comunque soldi che dovremo far saltare fuori o debiti che dovremo contrarre, anche se è evidente che non verranno mai restituiti: allora facciamolo con il massimo e più rapido grado di utilità.

Lo ripeto, non sono così presuntuoso da scodellare soluzioni per tutti i problemi connessi, e non escludo che ve ne possano essere di impedienti: vorrei solo che questi impedimenti venissero valutati in ragione del bene comune e non solo dell’interesse finanziario.

Se la politica non riesce neppure in questi frangenti a superare la logica del notaio o del commercialista (con tutto il rispetto per queste nobili professioni) allora viene veramente da chiedersi a cosa serve: il “modello italiano” non può limitarsi al  restare a casa, magari suonando la chitarra, e al portare il cane a fare la pipì rigorosamente solo di fronte al portone. Rigorosamente!