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Dignità della politica, politica della dignità

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Dignità della politica, politica della dignità

Difendere e fondare la dignità della politica con questi chiari di luna può sembrare una missione impossibile e una battaglia persa in partenza.

E, invece, è esattamente questo tema che ho scelto per proporre una prima riflessione. Lo faccio non per il gusto di difendere l’indifendibile o per tutelare rendite di posizione, peraltro inesistenti, ma perché sono convinto che la funzione politica, se correttamente intesa, sia una delle colonne portanti della convivenza sociale e uno strumento indispensabile per concretizzare quella frazione di bene comune che l’uomo ha la possibilità di conseguire in questo mondo.
La cosiddetta antipolitica non esiste, anzi non può esistere. Nelle società strutturate tutto è, in fondo, politica : l’unica distinzione che si può fare non è fra politica e antipolitica ma fra buona politica e cattiva politica. Come in quasi tutte le attività umane i due elementi fondamentali sono il progetto, che indica lo scopo, e la realizzazione, cioè le persone e i mezzi atti a raggiungere tale scopo.

Circa il progetto siamo messi davvero male. Chiunque abbia visto un qualunque telegiornale da parecchio tempo a questa parte avrà, come me, ricavato la netta sensazione che lo scopo della politica sembra essere unicamente quello di preservare se stessa. Lo spettacolo, ostentato con masochismo incomprensibile, è quello di un mondo politico in disfacimento che pone davanti alle necessità reali del Paese la necessità di riformare se stesso, e su questo potrei anche essere d’accordo, peraltro senza riuscirci. O meglio, facendo il possibile per non riuscirci in modo che “tutto cambi affinché nulla cambi “. Classico esempio è quella riforma della legge elettorale, senza dubbio utile, ma che avrebbe dovuto occupare la politica al massimo per mezza giornata e che si sta invece trasformando nel giocattolo da rompere e aggiustare in continuazione con il quale il nostro Parlamento si trastulla da mesi. Il tutto, ovviamente, con piena soddisfazione del Governo tecnico che nel frattempo prosegue diritto nell’implementazione del suo programma distruttivo e depressivo senza essere disturbato dai cosiddetti rappresentati del popolo. Parlo di quella rappresentanza parlamentare che abbiamo eletto, pagato e continuiamo a pagare anche se da più di un anno interrompe le proprie pratiche onanistiche solo per votare la questione si fiducia sulla qualunque cosa salvo poi correre in televisione a dichiarare che non avrebbe voluto farlo.

Circa i mezzi, cioè le istituzioni e le persone, siamo messi anche peggio. E parlo di tutti i fronti anche se penso in primo luogo al centro-destra. La mancanza di linee politiche coerenti, l’incompiutezza di riforme accennate, ritirate, modificate, sospese e, quindi, mai davvero operate, l’interesse privato dominante nel governo della cosa pubblica hanno portato ad una architettura istituzionale di fatto che non sta in piedi per la semplice ragione che l’architetto o è pazzo o, peggio, non esiste. Ogni potere dello stato viaggia per conto suo, attento a rivendicare sempre la propria autonomia e quasi mai la propria corresponsabilità. E così ci troviamo con giudici che fanno i politici ma anche politici che vorrebbero fare i giudici; con parti sociali che fanno le regole e autorità politiche che cercano il consenso della base sociale scavalcando le parti; con piani industriali scritti in forma di sentenza di tribunale e sentenze di tribunale scritte come piani industriali; con controllori che coincidono con i controllati; con banchieri che fanno i ministri e ministri che vorrebbero tanto fare i banchieri, a volte riuscendoci; e tanto si potrebbe continuare. Un “assalto alla diligenza”, come si diceva un tempo, dove la diligenza sono le ricchezze del paese, compreso il nostro lavoro, i nostri beni, i nostri risparmi, le nostre pensioni, i nostri servizi. Ma le istituzioni non camminano da sole per il mondo ma sulle gambe di persone in carne in ossa. “Occorre un rinnovamento del personale politico”, “Bisogna rottamare la vecchia generazione” : quante volte lo abbiamo sentito dire ? Scusate se gli autori di queste illuminate intuizioni non mi convincono perché, secondo me, c’è una parte no detta : “tranne me”. Cambiare tutti ( tranne me), rottamare tutti (tranne me), etc, etc. Se da un lato suscita ilarità l’idea del nuovo che avanza trascinato dalla verginità politica dei Casini, dei Fini, dei Rutelli, dei Di Pietro dall’altro suscita francamente tristezza anche il furore iconoclasta verso la famigerata “casta” dei La Russa delle Santanchè e di tanti personaggi che hanno gestito la politica del centro-destra in questi ultimi venti anni. Appunto ! in questi ultimi vent’anni dove sono stati questi signori ? cosa hanno fatto per “fermare il declino” o attutire il disastro ? in che misura hanno perseguito interessi personali, anche legittimi ( ma non per questo necessariamente opportuni ), e in che misura il bene comune ? Questo rigore nell’affermazione dei valori etici della nazione lo hanno mostrato anche nell’adempimento delle alte funzioni a cui sono stati chiamati o lo usano nei comizi come un preservativo per rendere “sicure” relazioni politiche “contro natura” ? A queste domande bisognerebbe dare risposte convincenti, prima di candidarsi per un altro giro. E questi virgulti che spuntano teneri e freschi dalla società civile ? Dove sono stati fino ad oggi ? Su Marte o a dirigere carrozzoni para-statali, giornali, aziende perennemente decotte e perennemente salvate con i nostri denari ( salvo poi andare a puppare da un’altra parte quando i nostri sono finiti ). Davvero Montezemolo pensa che per indossare i panni del salvatore della patria basti declamare da un palco futuristico : Dobbiamo affermare il principio che chi occulta il proprio reddito ed evade è un ladro esattamente come chi sperpera i soldi pubblici.

Molti a questo punto potrebbero chiedermi : ma allora cosa e chi vuoi ? Innanzitutto voglio una cultura politica nella quale lo scopo ultimo sia il bene comune. Una cultura nella quale chi fa politica abbia ben chiaro che Impegnarsi per il bene comune è prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende forma di pólis, di città. Si ama tanto più efficacemente il prossimo, quanto più ci si adopera per un bene comune rispondente anche ai suoi reali bisogni.”( Bendetto XVI, Caritas in Veritate, punto 7 ).

So bene che questa cultura non si inventa e so bene che creare una classe politica che la pratichi decorosamente, pur con tutte le umane imperfezioni, è lavoro lungo, faticoso e pieno di insidie. Ma se mai cominciamo, quando mai avremo qualcosa di dignitoso?