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La solitudine dei numeri

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La solitudine dei numeri

Un primo contributo per l’analisi dei risultati elettorali delle elezioni politiche appena svolte.

Nei giorni scorsi sono state pubblicate sul sito del prestigioso Istituto Cattaneo www.cattaneo.org alcune analisi dei risultati elettorali relativi alle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio comprensive di un primo tentativo di tracciare i cosiddetti “flussi”, i movimenti dell’elettorato tra i diversi partiti. Molti giornali li hanno ripresi e, a ben guardarli, rappresentano al momento una delle migliori basi per una riflessione di natura sostanziale sulle elezioni che vada al di là delle banali percentuali in base alle quali tutto possono dire di aver vinto o almeno di non aver perso. Fatta salva, ovviamente, l’ardita figura retorica del “primo arrivato non vincitore” elaborata dall’On. Bersani, della quale un bel pezzo di mondo attende con divertita curiosità una spiegazione convincente. Naturalmente le riflessioni in materia politico-elettorale non possono fermarsi ai nudi numeri, per importanti e precisi che essi possano essere, ma da essi si deve comunque partire per ogni altra considerazione.

Aventi diritto, votanti e astenuti. Il primo dato certo di qualsiasi elezione è la composizione del corpo elettorale. Questo corpo si è “ristretto” dal 2008 al 2013 di circa 250.000 unità. Nello stesso periodo la popolazione italiana è cresciuta di 1.300.000 persone, passando da 59.6 a 60.9 milioni. Dal 2008 al 2012 sono state concesse circa 250.000 cittadinanze italiane a stranieri residenti e il numero di immigrati legalmente residenti in Italia, potenziale platea per un future domande di cittadinanza e di relativi diritti elettorali, è passato da 3.4 a 4.9 milioni. Il corpo elettorale riflette ovviamente le dinamiche demografiche del corpo sociale e pertanto 3.7 milioni di elettori, l’8% , ha un’età superiore agli 80 anni e quasi il 20 % più di 70, mentre appena il 12 % ha meno di 30 anni. Degli 11 milioni di persone che nell’arco dei prossimi 19 anni entreranno a far parte dell’elettorato i nati in paesi diversi dall’Italia rappresenteranno potenzialmente il 10 %. Un quadro in continuo mutamento che occorre leggere costantemente per non perdere il contatto con il paese reale.

Considerazioni di più breve respiro si possono invece fare sul livello di astensione in relazione agli aventi diritto. Si è indubbiamente verificata una diminuzione delle percentuali di votanti ma non quel crollo che molti paventavano durante le operazioni di voto e nei primi immediati commenti dopo il voto. Il numero di votanti è passato da 37.8 milioni delle elezioni del 2008 a 35.2 in quelle 2013, con un calo di 2.6 milioni che corrisponde ad un -5.6 % ( da 80.7 % al 75.1 % ). Un tendenza al calo che, ci dice sempre l’Istituto Cattaneo, è una costante degli ultimi venti anni con tendenza all’accelerazione nelle ultime due elezioni, ma che mantiene l’Italia sempre ai primissimi posti nella classica europea della partecipazione. Più interessante è vedere le aree dove il calo è stato superiore alla media sia nazionale che di macro-zona. In particolare si riscontrano due epicentri dell’astensione situati agli estremi opposti del Paese : In Sicilia e nel nord di Piemonte e Lombardia. Per quanto riguarda la Sicilia e più in generale il mezzogiorno la maggiore astensione è endemica e il suo aumento starebbe a testimoniare un senso di abbandono acuito dalla crisi economica ed occupazionale. Per quanto riguarda le aree di provincia alpina e pre-alpina non deve essere sottovalutato il fattore climatico ( visto che si è trattato delle prime elezioni invernali della storia della repubblica ) ma può aver inciso anche la forte connotazione agricola, artigiana e piccolo-industriale de tessuto sociale di quelle zone, categorie, queste, particolarmente colpite dall’aumento della pressione fiscale e dalla crisi. Al netto della percentuale fisiologica dei disinteressati sistemici e degli impossibilitati, l’area dell’astensione viene comunemente associata ad una forma di “protesta”, risulta quindi interessante porre in relazione il non-voto con il Movimento 5 Stelle che si candidava ad incarnare più di altri le tendenze anti-politiche. Viene da chiedersi se mancando l’offerta elettorale del M5S l’astensione sarebbe stata più alta. Un’analisi dei flussi è stata condotta su 9 città italiane : Torino, Brescia, Padova, Bologna, Firenze, Ancona, Napoli, Reggio Calabria e Catania. Facendo la media del pollo tra queste nove città si evince che su 100 elettori del M5S solo 8.5 provengono da persone che nel 2008 si erano astenute. Parlo di media del pollo perché i dati differiscono sensibilmente : si va da 25 e 27 di Torino e Catania a 1 per Brescia e Padova. In generale sembra di poter affermare che il partito di Grillo, come già si evinceva dalle Regionali siciliane, non è uno strumento in grado di intercettare maggioritariamente la protesta astensionista ma prende la grande parte dei suoi elettori dal fronte della protesta interna agli altri partiti. Su questo punto specifico ci soffermeremo in seguito.

Chi scende e chi sale. Spesso le percentuali non rendono l’dea dei mutamenti elettorali intercorsi perché il loro valore viene opacizzato dalle medie nazionali e da una comparazione fra soggetti non sempre omogenei tra di loro. I valori assoluti sembrano in questo caso essere più chiari ad indicare una vera Caporetto tra le forze già presenti nel 2008. Il PD ha perso 3.4 milioni di voti ( il 28.4 % del proprio elettorato 2008 ), con un calo geograficamente costante se si tiene conto che in quella che viene definita “zona Rossa” ( Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria ) il calo medio è stato del 26 %. Il PDL va peggio : perde 6.3 milioni di suoi elettori ( -46 %) rallentando la caduta solo nel Nord-Est (-40 %). Per la Lega Nord il calo è stato di 1.6 milioni (-54 %) sul 2008, particolarmente accentuato in alcune roccaforti : -61% nel nord-est, -64.3 % in Piemonte, -68 % in Liguria. Viene poi quella che i ricercatori dell’Istituto Cattaneo identificano come “area della Destra”, confrontando i numeri di Forza Nuova e La Destra-Fiamma Tricolore del 2008 con quelli di La Destra, Forza Nuova, Fiamma Tricolore, Rifondazione Missina e Casa Pound del 2013. Occorre notare che i dati così accorpati perdono un tantino di omogeneità; chi conosce questo mondo sa bene che si tratta spesso di presenze non componibili in un unico dato ed inoltre nel 2008 La Destra e Fiamma Tricolore correvano insieme e nel 2013 disgiunte ( La Destra In coalizione PDL e Fiamma Tricolore da sola); Casa Pound non era ufficialmente presente nel 2008; La Destra nel 2008 presentava un simbolo parzialmente diverso e correva con un suo candidato Premier ( Daniela Santanchè ), fuori dalla coalizione di Berlusconi. Si tratta di dettagli importanti ma pur sempre dettagli. Il dato non lascia adito a dubbi: il calo è stato di più di 600.000 voti su 1 milione ( -60%) con una perdita più accentuata al Nord rispetto al centro-sud. Se consideriamo il solo risultato de La Destra ( con tutte le differenze citate sopra ) vediamo che nel 2008 aveva incassato 885.000 voti che si sono ridotti a 220.000 nel 2013, anche sommando i 44.000 di Fiamma Tricolore ( nel 2008 correvano insieme) si arriva a 264.000. Mancano ancora nelle analisi numeriche le considerazioni circa Fratelli D’Italia che si candidava esplicitamente all’eredità elettorale di Alleanza Nazionale. I risultati ottenuti, con circa 665.000 voti ( 1.95 %), 9 Deputati e 0 Senatori, pur inferiori alle attese, permettono di poter dire onestamente che hanno portato a casa la pelle. In generale bisogna però affermare, con altrettanta onestà, che nessuna di queste forze è riuscita a rinverdire in fasti che furono di AN e prima ancora dell’MSI nella rappresentanza parlamentare della destra politica italiana. Sale di un pelo, e anche qui con dati difficilmente accorpabili, la sinistra radicale anche se bisogna tenere presente che il raffronto è fatto con il 2008 che ha rappresentato uno dei punti più bassi della storia dell’area. Sale, ma non poteva essere diversamente, l’area di Mario Monti. Con circa 2 milioni di voti passa di stretta misura alla Camera il quorum di coalizione, non prima di aver spolpato fino al midollo le altre forze coalizzate ( UDC e FLI ). Manca clamorosamente, in particolare al Senato, l’obbiettivo di diventare l’ago della bilancia fra i due schieramenti. Un discorso a parte merita il M5S : 8.700.000 voti, equamente distribuiti su tutto il territorio nazionale ( dato, questo, sociologicamente importante). Diventa cruciale l’analisi dei flussi : abbiamo già considerato sopra l’apporto, in realtà modesto, al successo del M5S dato dall’area dell’astensione; ma allora questa valanga di voti da dove arriva ? L’unico dato disponibile è, come già citato, l’analisi dei flussi dell’Istituto Cattaneo su nove città campione, reperibile a questo link . Anche se si tratta di un campionamento forzatamente ristretto alcune linee emergono chiaramente. La maggior parte dei suoi voti Grillo li prende a sinistra : ferisce il PD e uccide elettoralmente IDV ( peraltro già preventivamente suicidatasi ). Per contro colpisce abbastanza marginalmente il PDL e in misura molto maggiore al sud rispetto al nord. I ricercatori si dichiarano non particolarmente stupiti del grosso tributo versato dalla Lega Nord a Grillo : in effetti è ragionevole considerare che la stessa Lega ha raccolto in questi anni un voto di protesta, “anti-casta”, ed è altrettanto ragionevole che tale elettorato, deluso da scandali e compromissioni con il potere, abbia deciso di rivolgersi a chi oggi incarna all’ennesima potenza tali sentimenti. Certo colpisce che a Brescia il 30 % dell’elettorato stellato provenga dalla Lega e a Padova tale percentuale rasenti il 50%. Un dato che invece stupisce e colpisce tutti, compreso il sottoscritto, è quello del flusso che porta dall’area della destra identitaria al M5S. Si tratta, come ammettono gli stessi ricercatori, di quantità basse perché comunque provenienti da partiti con percentuali elettorali a una cifra o meno anche nel 2008 ma comunque il fatto che gli stessi ricercatori, molto quotati in materia di flussi, indichino nel M5S il destinatario del 25-30 % dell’elettorato di destra “estrema” ( non condivido il termine ma lo uso per chiarezza) è, secondo me, uno dei dati più sorprendenti di questa tornata elettorale e sul quale varrà la pena di riflettere molto seriamente.

Mi fermo volutamente a questo punto perché desideravo in primo luogo porre a base di ulteriori considerazioni qualche dato depauperato dei corollari propagandistici , con l’aiuto del tempo e dei dati resi disponibili spero di averlo fatto. Da questo punto ripartiremo prossimamente per quelle riflessioni sostanziali che ora si impongono, con l’occhio sempre puntato sulla situazione istituzionale del Paese che sembra avere davanti giorni particolarmente caotici.