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Molle Koalition

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Molle Koalition

L’agonia del governo Letta

La premessa non è entusiasmante ma ci può stare: in periodi di particolare emergenza economica e sociale, in mancanza di una netta indicazione elettorale, partiti normalmente avversari possono dare vita ad un governo di unità nazionale che prenda un numero definito di provvedimenti al fine di ristabilire un quadro di normalità e poi rimettere la scelta sulla conduzione del paese nelle mani degli elettori. E’ la logica che ha dato vita alla Grosse Koalition tedesca del 2005-2009, una delle cause della buona condizione di salute della Germania odierna.

E’ inutile farsi del male cercando di teorizzarne la bontà assoluta. Se si tratta di uno stato di necessità è forse più produttivo sfruttarlo al meglio per far cessare il prima possibile l’emergenza che lo ha reso necessario. C’è però una condizione imprescindibile senza la quale le larghe intese diventano non solo sgradevoli sul piano politico ma, peggio, decisamente dannose per il Paese: devono fare quello che si sono proposte, subito! Mi sembra chiaro che non è questo il caso del Governo Letta.

In questi giorni nei quali i media ci offrono lo spaccato desolante dell’agonia, lunga o breve che sia, del governo delle larghe intese, vale la pena riflettere sul perché una formula che è stata un trampolino di lancio per la Germania sull’orlo del baratro, da noi si è trasformato in uno scivolo che sta conducendo l’Italia nell’inferno della depressione strutturale.

E’ un quadro con molti dettagli ma, tra i i tanti, nel frangente specifico ne emergono due.

Il primo è, fuori da ogni tentazione demagogica, l’evidente inadeguatezza di gran parte del personale politico che regge le sorti del nostro paese. Non si tratta di insultare questo o quel potente di turno per togliersi la soddisfazione di farlo; si tratta di constatare come neppure di fronte al rischio di estinzione, le classi dirigenti, sia di centro-destra che di centro-sinistra, sembrano essere in grado di uscire dall’ottica esclusiva della sopravvivenza propria e delle proprie clientele.

Quello che stupisce non è, naturalmente, l’idea che il potere tenda a perpetuare se stesso: questo è nella natura delle cose, è sempre successo e sempre succederà. Stupisce, invece, che l’attaccamento al potere spicciolo e quotidiano abbia finito con il prevalere perfino sull’istinto di sopravvivenza di chi lo detiene, o vorrebbe detenerlo. Prova ne sia il fatto che il disfattismo masochista di Grillo, che dopo le elezioni è sembrato perdere consenso, ora, anche comprensibilmente, sta riprendendo vigore.

Non avendo le idee chiare sul da farsi, neppure sui fondamentali che dovrebbero essere comunque condivisi, PD e PDL (e Scelta Civica) tirano a campare con trucchi da illusionisti con i quali si cerca di mascherare all’opinione pubblica la propria incapacità di arrestare il declino del Paese. Prospetto una tassa per poi vantare il successo di averla scongiurata; faccio uscire un balzello dalla porta per farne rientrare due dalla finestra; lancio le menti e i cuori dell’opinione pubblica su emergenze etiche anche importanti ma di fatto strumentalizzate come paraventi e cavalli di Troia per aggravare la degradazione del tessuto sociale e renderlo più “malleabile”.

Occorre dire che le cosiddette opposizioni ci mettono del loro, caricando come tori impazziti i vari drappi rossi che di volta in volta vengono agitati ad arte: la malizia dello stillicidio quotidiano di provocazioni del Ministro Kyenge è pari solamente alla “miopia” di chi casca nella trappola collaborando, senza mai entrare nel merite e non so se del tutto inconsapevolmente, al suo evidente tentativo di depistaggio rispetto ai problemi reali del paese.

La seconda delle tante ragioni possibili per il fallimento di questa fase della politica nazionale discende dal primo e riguarda non le persone ma il metodo. Al momento della nascita del governo delle larghe intese gli unici oggetti della discussione sono stati gli equilibri fra schieramenti, la ripartizione di cariche e incarichi, l’alchimia delle correnti. L’unica preoccupazione è stata la “coabitazione vantaggiosa” all’interno del governo e la sua continuazione. Il “che fare” è stato appena sfiorato oppure sub-appaltato a compagnie di giro, che hanno messo in scena siparietti esilaranti e dimenticati, come le commissioni di “saggi” del Presidente.

Mia nonna diceva che più si discute da fidanzati meno si litiga da sposati. Aveva ragione. E’ del tutto ovvio che il confronto sui temi di merito, che non si è svolto prima, si è poi trasferito nel dibattito parlamentare e governativo paralizzando con veti incrociati qualsiasi capacità di intervento. Non vuole essere un alibi per il Governo Letta, anzi, è una delle sue colpe (con responsabilità non secondarie di chi lo ha fortemente voluto e periodicamente lo rianima) l’aver millantato come ancora di salvezza del Paese, in un momento anche drammatico, uno strumento del quale si sapeva che non avrebbe funzionato.

Il metodo attuato in Germania è stato ben diverso: constatata la necessità di una coalizione fra Cristiano-democratici (35,2% alle urne), Socialdemocratici (34,2%) e Cristiano-sociali si diede inizio ad una fase di feroci trattative fra gli schieramenti sui provvedimenti da prendere, sul loro costo, sulla reperibilità delle risorse per sostenerli. Quando Angela Merkel si presentò in parlamento per essere nominata alla Cancelleria aveva in tasca un documento di 221 pagine che si intitolava “Insieme per la Germania. Con coraggio e umanità” nel quale stava scritto dove prendere i soldi e come spenderli. Non furono tutte rose e fiori ma siccome la maggior parte dei provvedimenti erano già stati concordati fu possibile attuarli in maniera sequenziale e coordinata dando luogo ad una strategia finalizzata. C’era di più: quelle stesse 221 pagine potevano essere lette da qualunque cittadino, investitore, banchiere, industriale in giro per il mondo, con la possibilità di verificarne lo stato di attuazione. Terminato quel programma si ritornò alle urne e la Merkel vinse. Come andò? Un solo esempio: quando fu scritto quel documento, nel 2005, la disoccupazione in Germania era all’11,6 %, nel 2009 era al 7,5 % e a maggio del 2013 è al 5,3 % (Italia 12 %).

Capisco perfettamente che non c’è solo questo dietro il successo della Grosse Koalition e della Germania. Bisogna mettere in conto anche i vantaggi derivanti dall’unione monetaria surrettiziamente imposta a valori sproporzionati, gli attacchi speculativi ai debiti sovrani degli “amici” (tra i quali anche il nostro), etc.

Considero l’esterofilia una specie malattia e quindi cerco di tenermene alla larga e sarò anche un illuso, ma mi rifiuto razionalmente di credere che nella società italiana non ci siano le energie, le volontà, le intelligenze, i patrioti che possano, anche con modalità diverse, attuare un percorso di rinascita del nostro Paese che tenga un minimo conto del bene comune del popolo italiano e non solo del proprio bene particolare. Secondo me tutto questo in Italia c’è … ma non in Parlamento.